Per Rick, Oak Park non era mai stato un posto ospitale. In particolare, quel dedalo di viuzze che una volta era stato il suo quartiere – il quartiere dove era cresciuto e dove aveva imparato a vivere – era non solo un mercato a cielo aperto, ma era anche un bordello a cielo aperto e una latrina a cielo aperto. Sul marciapiede le prostitute giravano a tutte le ore, strette nei loro miniabiti che mettessero bene in evidenza la mercanzia che offrivano e che rendessero chiaro a tutti che ci facessero lì. Anche ora che era pieno inverno e si gelava, se ne stavano lì mezze nude a battere i denti per il freddo: chiacchieravano amabilmente fra loro, ridevano e di tanto in tanto fumavano una sigaretta, aspettando con pazienza qualcuno che qualcuno passasse a prenderle.
Il puzzo di escrementi era insopportabile, misto ad un odore di cibo bollito (cipolle o stufato di carne, nessuno lo sapeva con precisione) che impregnava irrimediabilmente i vestiti e dava la nausea. Agli angoli delle strade c’erano capannelli di vecchi che giocavano a carte; di tanto in tanto un mendicante pregava per qualche spicciolo, agitando nell’aria il proprio bicchiere vuoto.
Quel quartiere per Rick era stato la peggior scuola che un ragazzino poteva frequentare: a tredici anni aveva iniziato a contrabbandare sigarette e alcolici, come molti altri suoi coetanei; a quattordici era passato al traffico illegale di pezzi di auto e moto, che rubava all’autodemolizione e che aveva imparato a rigenerare e a spacciare per nuovi, o almeno funzionanti. I soldi che guadagnava gli servivano per mangiare, per comprarsi i vestiti che i suoi genitori non erano in grado di pagargli, per i libri di scuola per sé e suo fratello: seppure spinto dalla necessità, sapeva già allora tuttavia di non stare facendo la cosa giusta.
Ora tornava in quei luoghi da uomo adulto, più o meno onesto: viveva a Chicago, aveva un lavoro vero, una casa tutta sua, dei vestiti puliti che non fossero stati rattoppati già mille volte. Era cambiato, ma non poteva dire lo stesso di quel posto: ragazzini come un tempo lo era stato anche lui gli tagliavano la strada guidando motorini e scooter – pur avendo solo otto o dieci anni al massimo; ne vedeva alcuni che avevano valigette piene di pacchetti di sigarette illegali, che contrattavano con persone che potevano essere i loro genitori, se non addirittura i loro nonni, e che fuggivano in fretta e furia quando sentivano in lontananza le sirene della polizia. Anche lui, per troppo tempo, aveva vissuto quella vita: capiva quei ragazzini, non riusciva a guardarli con disprezzo e superiorità.
Più ci pensava, e più si rendeva conto che uno come lui non poteva stare con una ragazza perbene come Rachel: se lei avesse visto il degrado in cui aveva vissuto, se avesse saputo ciò che aveva fatto per tirare a campare, sarebbe fuggita a gambe levate.
Era tornato nel sobborgo dove era cresciuto per andare a trovare sua madre. Con lei non aveva un rapporto idilliaco, ma era pur sempre sua madre ed era l’unico parente che ancora gli restava. I suoi genitori erano poco più che adolescenti quando nacque: sua madre aveva solo sedici anni quando era rimasta incinta di lui e per questo era stata cacciata via di casa, e suo padre non mancava mai di ripetergli che il suo concepimento era stato uno sbaglio, un errore. A furia di sentirselo dire, Rick aveva finito col crederci davvero. I suoi genitori poi si erano sposati, quando mancava poco a che lui nascesse, e dopo quattro anni era nato suo fratello Luke. Insomma, non erano mai stati una famiglia felice.
Prima di arrivare a casa passò come al solito dal cimitero, dove c’era la tomba di suo fratello. Non era una persona religiosa, ma andare a salutarlo e portargli dei fiori freschi (margherite, il suo fiore preferito) era un modo per immaginare che fosse ancora con lui. Dalla piccola fotografia posta sulla tomba Luke lo guardava sorridente e spensierato come se lo ricordava, con quel suo faccino spruzzato di lentiggini: Luke sarebbe rimasto un bambino per sempre, ingenuo e puro – mentre lui col tempo era cambiato e si era irrimediabilmente corrotto.
Aveva avvertito sua madre del fatto che stava arrivando perché non voleva trovarsi in una situazione imbarazzante: sapeva che la donna a volte si portava a casa qualche uomo e si faceva pagare per prestazioni sessuali. Non si definiva una prostituta – lei – ma piuttosto una geisha, o una mantenuta: era lei a scegliere i suoi uomini e a invitarli a casa sua, non batteva il marciapiede come le sgualdrinelle al freddo o sotto la pioggia. Viveva da sola, ormai, e poteva fare quello che voleva: non lo faceva per soldi, per necessità, ma piuttosto per divertimento, per il piacere perverso di sottomettere gli uomini con il suo fascino – lei che dall’altro sesso era stata sempre sottomessa, da suo padre, dai suoi fratelli e infine da suo marito.
Per Rick la differenza non era poi tanta: vendeva il proprio corpo al miglio offerente, a uomini senza scrupoli e senza dignità, che cercavano in lei niente altro che un piacere fisico per qualche ora. Ma, ad ogni modo, chi era lui per giudicare il comportamento di sua madre? Non aveva fatto un uso migliore del proprio corpo, fino ad ora: anche lui, come lei, si era svenduto praticamente a qualsiasi ragazza del paese. Non lo aveva fatto per soldi – era vero – ma uno scopo utilitaristico c’era lo stesso: nessun sentimento, niente di romantico nelle sue frequentazioni.
Se ne stava seduto al tavolo della piccola cucina senza dire niente, mentre sua madre gli raccontava delle compere dalle quali era appena tornata e di altre faccende senza importanza. A stento l’ascoltava, perso com’era nelle sue elucubrazioni mentali che avevano come comune denominatore una certa fanciulla dagli occhi color cioccolato e dai lunghissimi capelli corvini. “Sto uscendo con una ragazza, da un po’ di tempo” disse ad un tratto, senza rendersene conto, approfittando di una breve pausa in quel suo chiacchiericcio senza fine. Non voleva tirare in ballo quell’argomento, non con sua madre almeno…quella frase gli era uscita di getto mentre era sovrappensiero e quando si era accorto del danno fatto era troppo tardi per rimangiarsela.
Sua madre lo guardò, non riuscendo a trattenere un’espressione stupita. Rick era un uomo adulto ormai e di certo aveva avuto le sue storie – anche se non ne aveva mai parlato con lei prima di allora. “È la prima volta che esci con una ragazza?” chiese comunque.
“No.”
“Beh, non mi hai mai parlato della tua vita sentimentale. Perché me lo stai dicendo ora?”
Rick si schiarì la voce, un po’ a disagio. “Non lo so. Forse perché è diversa dalle altre…credo.”
“Diversa in che senso?”
“Non lo so” ripeté il giovane. “Mi sembra speciale.” Sospirò frustrato: quella di parlarne con sua madre era stata davvero una pessima idea – si disse. Non gli sembrava stesse capendo, ma come poteva biasimarla in effetti: probabilmente non aveva mai conosciuto una persona che l’avesse amata in vita sua. I suoi genitori l’avevano cacciata via di casa, suo marito – il padre dei suoi figli – non le aveva dato altro che botte …era ovvio che non nutrisse grandi aspettative nelle relazioni umane.
Per qualche momento tacquero entrambi. Rick tamburellava con le dita sul tavolo mentre sua madre continuava a sistemare la spesa nella credenza. Quando ebbe finito, prese una bottiglia di gin e due bicchieri dalla modesta cristalliera, e mise tutto sul tavolo. Versò un paio di dita di liquore in ogni bicchiere e si sedette al tavolo di fronte a lui. “Come si chiama?”
Rick vuotò il bicchiere in un sorso solo. “Rachel.”
“È carina?”
“Molto.” Sorrise teneramente, pensando ai suoi tratti delicati, al colore dei suoi occhi. Rachel era davvero bella. Anche sua madre lo era, nonostante l’età non più giovane e tutto ciò che aveva sopportato, ma di una bellezza diametralmente opposta: sua madre era il genere di donna che eccitava gli uomini, che stuzzicava i loro istinti e li rendeva animali, Rachel invece era dolce e innocente come una creatura angelica – non sembravano neppure appartenere alla stessa razza. “È così semplice e e pura…”
“Intendi dire che è vergine?” chiese diretta sua madre.
Rick sbuffò e scosse la testa con aria di disappunto: sua madre sapeva pensare solo al sesso – in questo era peggio di un uomo – e, soprattutto, non concepiva una relazione in cui questo aspetto non c’entrava per niente. Non ancora almeno.
“Non volevo dire questo” rispose asciutto. “Intendo che è una brava ragazza, troppo per stare con uno come me.” Sapeva che fra di loro non poteva andare, ma più ci pensava e più era animato da un desiderio di possesso quasi morboso: voleva Rachel, e voleva che fosse solo sua e di nessun altro.
La donna si avvicinò a lui e gli prese le mani nelle sue. “Capisco che è speciale per te, Rick – lo leggo nei tuoi occhi. Mi piacerebbe conoscerla…questa Rachel, per capire un po’ che tipo è.”
“Non se ne parla proprio!” esclamò Rick in un impeto d’ira.
“Perché no? Ti vergogni di me?”
Il giovane sospirò e si svincolò dalla presa della madre. Non voleva ammetterlo, perché sapeva quanto sua madre fosse permalosa, ma in effetti era vero: si vergognava innanzitutto di se stesso, e poi anche del luogo in cui viveva e della sua famiglia – di quello che restava. “Non è questo” disse piano, sforzandosi di mantenere la calma. “È che è ancora troppo presto…stiamo insieme da pochissimo e non so ancora bene come evolverà la storia.”
“D’accordo” fece la donna, tornando ad accarezzargli la mano serrata attorno al bicchiere. “Non voglio forzarti, ma sappi che prima o poi devi portarla qui.”
“Potrebbe anche non essere nulla di serio” insistette Rick, sperando con questo di chiudere in fretta la questione.
“Eh no, tesoro mio. Non te la cavi così.” Voleva accarezzarlo su una guancia, ma Rick respinse prontamente la sua mano: odiava le sue dolciastre manifestazioni di affetto. “Non ti ho mai visto tanto in pena per qualcuno, non è da te stare così.”
Rick fece per dire qualcosa, ma sua madre lo zittì con un gesto della mano. “Sono tua madre, ti conosco meglio di chiunque altro.” Si versò un altro po’ di gin, poi disse – non senza una punta di malizia: “Te la se già portata a letto?”
Rick la fissò per un momento, poi proruppe in una risata nervosa. “Che accidenti c’entra questo ora?!” chiese. L’ultima cosa che voleva era discutere della sua vita sessuale con sua madre.
“Non essere timido…non devi avere vergogna a parlare con me di queste faccende! Allora?”
Il giovane sbuffo frustrato. “No.”
“Avevo ragione!” esclamò la donna soddisfatta, battendo le mani in modo febbrile. “La cosa è ben più seria di quanto vuoi dare a vedere, tesoro. Tu sei cotto a puntino!”
“Finiscila, mamma!” Si alzò in piedi, per darle le spalle ed evitare così il suo sguardo entusiasta. Andò alla finestra e si accese una sigaretta.
“Il fatto che non te la sia ancora portata a letto” continuò sua madre come se niente fosse “significa che per te è più di una semplice distrazione, altrimenti l’avresti sbattuta sul primo appoggio utile e ti saresti infilato in mezzo alle sue gambe senza farti tutti questi scrupoli. Ti sei innamorato, e se ti sembra così strano, è solo perché non ti è mai capitato prima.”
Rick si voltò a guardarla con la sigaretta fra le labbra, non nascondendo il suo disgusto per la volgarità di sua madre, che non finiva mai di stupirlo – in negativo, ovviamente. Tuttavia aveva ragione – si era innamorato: per questo non sapeva come comportarsi, per questo si sentiva così smarrito, tanto da essere andato a chiedere aiuto addirittura a sua madre, che di queste cose non si intendeva affatto.
“È una cosa stupenda essere innamorati, Rick. Non dovresti starci così male. In effetti, poi, lei non ti ha detto di no…”
“Non ancora.”
“E non abbatterti ancor prima che cominci!” sbottò sua madre. “Sei un bel ragazzo e hai tante doti, non hai nulla che non vada. Questa Rachel non potrà avere nulla di cui lamentarsi…no?” Mentre ancora lo rassicurava, il suo sguardo si fece assente, come se si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa di molto importante. Si alzò di scatto, lasciando la frase a metà. “Aspetta un attimo qui.”
“Ma dove vai adesso?!”
“Solo un momento.” La donna uscì in fretta dalla cucinetta e Rick la sentì salire le scale che portavano su, alle stanze da letto. Dopo qualche minuto, riapparve stringendo un sacchettino di velluto scuro che porse a suo figlio.
“Dallo a lei” disse soltanto.
“Che cos’è?”
“È una sciocchezza, un anellino. Me lo diede mia nonna quando rimasi incinta di te.”
“E perché lo stai dando a me?”
“È la tua ragazza, se è importante per te allora lo è anche per me. Voglio che lo indossi lei.”
Rick prese in mano quel sacchetto che non aveva mai visto e di cui ignorava l’esistenza fino a quel momento. Al suo interno vi era una sottile fascetta d’argento impreziosita da una pietra, o più probabilmente un pezzetto di vetro colorato. Non era un oggetto di valore in effetti.
La madre lo scosse gentilmente, e lo costrinse a voltarsi verso di lei. “Amore mio, io so bene quanto hai sofferto finora, e quali fantasmi ti porti dietro. Non sono stata in grado di dare a te e tuo fratello un’infanzia felice, una vita dignitosa, di portarvi al mare o di comprarvi il tacchino il giorno del Ringraziamento. Non sono stata in grado di proteggervi dalle botte di vostro padre, dalla fame, dalla delinquenza. Ma tu meriti un’altra possibilità, un’altra vita – diversa da quella che avevi qui. Io non so se con lei riuscirai ad essere felice, io lo spero davvero.” Sospirò, sorridendo dello sguardo incredulo di suo figlio. In un battito di ciglia si era fatto uomo e lei se lo era lasciato sfuggire fra le dita senza neanche rendersene conto. “Fra pochi giorni è Natale. Questo è il mio regalo per lei. E per te.”
Una prima versione di questo racconto è apparsa qualche anno fa su un forum di scrittori dilettanti.
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