Wollensietanzen era l’unica cosa che sapevo dire in tedesco quando ho iniziato la mia carriera in Svizzera come frontaliere – ma era tutto quello che mi serviva. Un passe-partout per entrare nelle grazie delle belle ragazze, un trampolino di lancio, un invito a ballare che poteva trasformarsi in qualcosa di più a saperlo usare bene.
Io con te mi sono fermato al ballo, e mi è bastato. Ti ho incontrato una sera che con i compari di lavoro andammo a bere in un locale, a spendere i primi soldi guadagnati spaccandoci la schiena nella miniera. Conoscevo la formula magica, avevo provato a recitarla già qualche volta davanti allo specchio. Wollensietanzen, ti dissi. Tu sorridesti e mi prendesti la mano.
È così che la nostra strana storia è iniziata. Ho frequentato sempre lo stesso locale, tutte le sere che passavo lontano da casa mia, per tre anni e mezzo di fila. Tutte le sere nella speranza di vederti, nella speranza che tu mi concedessi anche solo un ballo, o un sorriso. Mentre ballavamo sulle note che arrivavano ovattate dal jukebox in fondo alla sala tu mi parlavi di te, mi sussurravi all’orecchio dolci parole – ma io non capivo niente di quello che dicevi e non avevo modo di ricambiare quelle confidenze.
Con te era diverso, con te era un’altra cosa. Quando ti tenevo fra le braccia e ballavamo insieme mi scordavo di Mariella che mi aspettava dall’altra parte del confine, e dei miei bambini. Per ballare con te mi toglievo ogni volta la fede dal dito, ma tanto tu lo sapevi che ero sposato. Amavo mia moglie e la mia casa e la mia famiglia, ma quando ero con te mi rincretinivo e non ragionavo più. Forse non ti ho mai amato davvero, forse ho amato solo la tua giovinezza, il tuo sorriso fresco, il fascino frizzante della novità. Sei stata poco più di un’illusione, un raggio di sole tiepido come quelli che così raramente si vedono da queste parti.
E all’improvviso, un giorno sei uscita dalla mia vita. Semplicemente non ti ho visto più al locale dove ti avevo incontrato per la prima volta. Per qualche giorno ho atteso che ti facessi viva di nuovo, per ballare ancora con me, ma invano. Chissà che fine hai fatto – magari hai conosciuto un altro, o ti sei trasferita in un’altra città, o ti sei sposata e hai messo la testa a posto. Me lo sono chiesto ogni tanto, pensando a te e al tuo profumo.
Oggi si sposa mio figlio, il primo, con una ragazza di Locarno. Una ragazza delle tue parti. E mi sei tornata in mente tu, mia giovane illusione di tanti anni fa.
“Wollensietanzen” dico a mia nuora, che è molto graziosa e un po’ assomiglia al ricordo che ho di te.
Il suo sorriso è luminoso. “Non sapevo conoscesse anche il tedesco, Gerardo.”
“So dire solo questo” rispondo, ed è vero.
Questo racconto ha vinto il terzo premio al concorso letterario “Racconti a 33 giri“, indetto dall’associazione culturale “Il paese che non c’è“: vi ho raccontato la mia esperienza in questo articolo.
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