La scrittura giornalistica serve a informare e far capire le cose che accadono, ovvero la realtà. Ma quali sono le caratteristiche e i punti di forza della lingua del giornalismo? Diversamente dalla lingua tipica della narrativa, la lingua del giornalismo è snella, asciutta, senza fronzoli e orpelli, volta a comunicare informazioni nel modo più chiaro possibile e non sensazioni o emozioni.
Ecco cinque consigli per utilizzare al meglio questo linguaggio, e per riuscire a scrivere dei pezzi giornalistici degni di questo nome.
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La lingua del giornalismo è togliere
Scriviamo anche di getto, imprimendo con la tastiera il pathos e l’emotività, ma poi ricordiamoci di rileggere. Rileggiamo e togliamo le considerazioni, i giri di parole, le ripetizioni, le introduzioni, le similitudini, i modi di dire inutili. Insomma, togliamo tutto quello che una volta tolto non sottrarrà niente alla descrizione dei fatti e delle cose.
Se siamo nel dubbio, eliminiamo la potenziale ripetizione e rileggiamo la frase. Se non manca nulla e la frase ha senso lo stesso, allora quella parte non era che un’inutile ridondanza.
Scriviamo solo quello che sappiamo
Quante volte capita di leggere ipotesi, illazioni o congetture fatte da chi scrive, che non aggiungono nulla alla realtà dei fatti da raccontare? Spesso accade nei pezzi di cronaca nera, ma non solo: si tratta di escamotage per “allungare il brodo” e per camuffare il fatto che le informazioni a disposizione siano poche.
Non inseriamo quindi ipotesi vaghe e generiche che non dicono niente di concreto. Evitiamo espressioni come: “Non è da scartare l’ipotesi che…”, “Non si escludono (altre piste)”, “Non è detto che…” “Pare che (l’autista fosse distratto)”, “Ci si chiede chi sia stato il primo…” e simili.
Inoltre, non ci sbilanciamo a raccontare pensieri, emozioni e desideri, se questi non sono dichiarati dai soggetti. Una frase come “Era rimasto in Germania, sperando di evitare l’arresto” potrebbe diventare: “Era rimasto in Germania, dove avrebbe evitato l’arresto” (il fatto è certo, non è una speranza del criminale).
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Usiamo i tempi giusti
Scontato ma non troppo, utilizziamo bene la consecutio temporum, cerchiamo cioè di fare ordine fra gli eventi per raccontarli nel modo migliore dal punto di vista temporale. Cosa è accaduto prima? Quali fatti erano già noti in un passato antecedente rispetto al passato della narrazione?
Dopo che abbiamo fatto ordine, utilizziamo la ricchezza della nostra grammatica per comunicare ai nostri lettori la temporalità degli eventi. Tempi e modi diversi renderanno le diverse sfumature del tempo, della realtà e delle ipotesi.
Scegliamo bene le parole
Per raccontare fatti, eventi e fenomeni, è necessario usare il linguaggio. Ma come fare a scegliere le parole giuste? Semplice: leggendo molto (articoli giornalistici e non solo) e non smettendo mai di apprendere nuove parole. Solo avendo in tasca un lessico ricco e variegato, possiamo raccontare bene qualsiasi cosa.
C’è bisogno di una grande conoscenza della lingua per padroneggiala. Se le nostre possibilità espressive sono esigue, provengono da un bagaglio limitato, non possiamo sperare di raccontare la realtà al meglio. Quindi, più leggiamo, più conosciamo parole ed espressioni con cui raccontare il mondo e gli eventi.
Evitiamo le espressioni prefabbricate
Infine, bisogna stare attenti alle cosiddette “espressioni prefabbricate” abusate e stramasticate, che si trovano un po’ dappertutto ma di cui nessuno conosce bene il significato: l’obiettivo di queste espressioni è, come nel caso delle congetture e delle ipotesi, quello di allungare il brodo.
Nell’edilizia, i “prefabbricati” sono pezzi di costruzioni nati nelle industrie che permettono di costruire nuovi stabili in modo rapido ed economico – una sorta di giganteschi LEGO. Allo stesso modo, utilizzare espressioni prefabbricate è un modo veloce per costruire articoli senza troppo impegno mentale.
Tuttavia, chi scrive per espressioni prefabbricate racconta realtà prefabbricate, non sa descrivere la diversità di ogni evento: tutti gli articoli, tutte le notizie finiscono per avere lo stesso sapore non troppo definito. Chi non sceglie le parole non racconta la realtà, racconta dei modelli preconfezionati e rigidi di realtà.