Chi vive dalle mie parti (in Campania) e appartiene a qualche generazione precedente alla mia ricorderà bene la sera del 23 novembre 1980 e il drammatico terremoto che ha colpito i territori dell’Irpinia, provocando la morte di oltre 2.700 persone.
In prossimità dell’anniversario di questo drammatico evento, ho voluto riprendere in mano la notizia – non tanto per ricordare il fatto in sé, che è ben noto alle cronache, ma piuttosto per riflettere sulla narrazione che è stata fatta di quell’evento. Mi riferisco, in particolare, a un pezzo di denuncia pubblicato dalla testata “Il Mattino” dal titolo molto evocativo: FATE PRESTO.
A distanza di 43 anni, voglio spendere due parole su quel titolo, tanto semplice quanto d’impatto, che ha oltrepassato i confini del giornalismo ed è diventato opera d’arte (comunicativa e non solo).
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Il famoso “terremoto dell’80”
Chiedete a qualunque nonna dell’hinterland campano di raccontarvi il “terremoto dell’80”. Ricorderà perfettamente dov’era, cosa stava facendo e come era vestita quando tutti sono scesi in strada e poi hanno passato la notte a dormire nelle macchine.
La sera del 23 novembre 1980, un terremoto di magnitudo 6.9 colpì una vasta area della Campania, della Basilicata e marginalmente della Puglia. Le vittime furono 2.734 e i comuni danneggiati 688 – la metà di questi registrò la perdita dell’intero patrimonio abitativo.
Oltre alla distruzione provocata dal terremoto, l’episodio passò alla storia per la totale mancanza di coordinamento e i notevoli ritardi nei soccorsi ai sopravvissuti e nella ricerca dei dispersi. Volontari, strutture regionali e autonomie locali si mobilitano spontaneamente senza aver avuto indicazioni e precisi obiettivi operativi dal Ministero dell’Interno. Tutta questa disorganizzazione, ovviamente, allungò la lista delle vittime.
Intervenne l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che si recò sui luoghi del disastro il 26 novembre. In un messaggio alla televisione, denunciò il ritardo dei soccorsi e le gravi mancanze nell’azione dello Stato.
Qui non c’entra la politica, qui c’entra la solidarietà umana, tutti gli italiani e le italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi fratelli colpiti da questa sciagura. Perché credetemi il modo migliore per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi.
“Fate presto”: come nasce un titolo che fa la storia
Questo era il fatto storico, che ho riassunto succintamente giusto per fornire un contesto a chi non c’era in quel tragico giorno. Come ho detto, la totale assenza di coordinamento nei soccorsi e negli aiuti si scontrava con la voglia di tanti cittadini di fare la loro parte per provare a salvare vite umane sotto le macerie e portare conforto a chi aveva perso tutto.
Anche il mondo del giornalismo nazionale si mobilitò per provare a raccontare quei drammatici momenti. La testata Il Mattino inviò un nutrito gruppo di reporter, fotografi e altri collaboratori sui luoghi del disastro.
Essi contribuirono in maniera determinante a tenere il conteggio delle vittime, a segnalare la presenza di persone ancora vive fra le macerie, a denunciare episodi di sciacallaggio. Insomma, un giornalismo “sul campo” che divenne ben presto un’azione umanitaria mossa da un forte sentimento di indignazione civile.
Ed è proprio da questo sentimento di indignazione, di rabbia, che nasce il titolo “FATE PRESTO”, proposto dal redattore Pietro Gargano e apparso in prima pagina il 26 novembre, tre giorni dopo il disastro. Una denuncia urgente per ciò che c’è ancora da fare, ma anche un invito a muoversi velocemente, perché ogni minuto era importante.
Il titolo appare in maiuscolo, due sole parole che campeggiano sulla prima pagina e che non lasciano margine all’incomprensione. A completarlo il catenaccio stabilito con Carlo Franco, inviato sul posto:
Per salvare chi è ancora vivo.
Per aiutare chi non ha più nulla.
Quando la notizia diventa opera d’arte
Questo titolo così impattante non passò inosservato e sortì l’effetto voluto, in qualche modo. L’artista americano Andy Warhol fu colpito da quel messaggio e decise di utilizzare la propria arte come cassa di risonanza, per fare in modo che quel grido di aiuto arrivasse il più lontano possibile.
Reinterpretò quella prima pagina di giornale a suo modo, creando l’opera “FATE PRESTO”: un’altra esortazione al tempestivo intervento a soccorso delle vittime del sisma, con particolare attenzione sull’emergenza, sui suoi risvolti sociali.
Oggi l’opera di Warhol è esposta nella Reggia di Caserta, all’interno della collezione Terrae Motus dedicata proprio al racconto del terremoto del 1980.