Che cosa vuol dire essere giornalisti? Qual è la nostra missione, quanto lavoro c’è dietro la strenua ricerca della verità e quel vizio di raccontare i fatti che non ci abbandona mai? La testata Professione Reporter cerca di rispondere a queste domande in modo chiaro e puntuale, raccontando storie di inchieste, grandi firme del giornalismo, iniziative delle testate, novità che arrivano dalla stampa di tutto il mondo.
Ho avuto la possibilità di fare due chiacchiere con Andrea Garibaldi, direttore del portale. Garibaldi, una lunga esperienza cronista a Il Messaggero (per cui è stato inviato anche all’estero, in Jugoslavia) e al Corriere della Sera (dove è stato capo cronaca di Roma, e successivamente inviato seguendo la politica italiana), è attualmente docente di giornalismo presso l’Università LUMSA.
Come nasce Professione Reporter?
Professione Reporter nasce nel 2019 su iniziativa di Vittorio Roidi, ex giornalista di Radio Rai e Il Messaggero, già presidente della Federazione della Stampa, segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti. Roidi ha avuto l’idea di creare una testata che supportasse, tutelasse e raccontasse il “buon giornalismo”, il giornalismo come dovrebbe essere fatto.
Ci siamo resi conto di non poter fare affidamento sulla carta stampata – per ragioni economiche e di diffusione – e così è nato professionereporter.eu: abbiamo voluto scegliere il dominio .EU perché il nostro portale guarda all’Europa, non solo all’Italia.
Roidi ha chiamato a sé un gruppo di colleghi stimati e conosciuti per dare vita e corpo al sito: molti di quelli che furono invitati all’inizio hanno lasciato, altri scrivono ogni tanto, altri contribuiscono con idee e proposte, altri ancora sono sopraggiunti in un secondo momento e scrivono con maggiore costanza.
Insomma, si tratta di un progetto su base volontaria – non abbiamo finanziamenti. Ma siamo ancora qua, e resistiamo. A tre anni dalla sua fondazione (compiuti lo scorso giugno), il sito si è fatto conoscere e apprezzare nell’ambiente del giornalismo italiano e c’è un dialogo sempre aperto con i nostri lettori.
Chi c’è dietro il portale?
Io scelgo e valuto i temi, passo i pezzi e faccio i titoli, fino alla manutenzione del sito. Vittorio Roidi è un po’ il motore che traina il sito: propone idee e iniziative, dà sempre il suo OK finale prima della pubblicazione delle nuove notizie.
Oltre me e Roidi, gli altri tre “soci fondatori” sono Raffaele Fiengo (per decenni leader sindacale del Corriere della Sera), Alberto Ferrigolo (ex caporedattore de Il Manifesto, uno degli autori più prolifici sul portale) e Giampiero Gramaglia (ex direttore dell’ANSA, ex corrispondente dagli Stati Uniti e attualmente collaboratore de Il Fatto Quotidiano).
Qual è la vostra mission?
L’obiettivo di Professione Reporter è salvare il buon giornalismo, ma dentro questo obiettivo non c’è un approccio ideologico. Lo abbiamo stabilito sin dalla sua fondazione: il sito non vuole essere un luogo di opinioni, dove i giornalisti dicono la loro sul mondo. C’è un settore OPINIONI, certo, ma non è una parte preponderante.
Noi vogliamo innanzitutto dare notizie sul giornalismo e sull’editoria – due settori in grande crisi. Come in ogni crisi che si rispetti, anche all’interno della crisi del giornalismo stanno nascendo novità importanti, ed è proprio queste che vogliamo raccontare, osservandole mentre si sviluppano sotto ai nostri occhi.
Di cosa si occupano i vostri articoli?
Trattiamo le notizie sul giornalismo che vengono dalle redazioni (ad esempio nomine, scoop, inchieste, ma anche nuovi inserti, nuove rubriche proposte dalle testate), dal mondo del precariato giornalistico (ci interessiamo ai problemi dei giornalisti precari, sfruttati e sottopagati), dai Comitati di redazione, dalle Istituzioni del giornalismo, dagli istituti di ricerca sul giornalismo di tutto il mondo.
Siamo molto attenti a grandi temi, come ad esempio il ruolo delle donne nel giornalismo, il giornalismo di guerra. Abbiamo dedicato dodici interviste al futuro del giornalismo e dodici interviste alla serie “Cronisti di guerra”. Un altro tema a cui dedichiamo attenzione è l’influenza crescente della pubblicità nel mondo del giornalismo: se finora la pubblicità era stata una fonte di guadagno per i giornali, ora si insinua profondamente dentro il giornalismo. Oggi c’è la tendenza a fare pubblicità dentro pezzi che sembrano giornalistici – questa è una deriva che noi vogliamo combattere. La pubblicità deve essere distinta dall’informazione, altrimenti inganna i lettori.
Qual è il vostro pubblico di riferimento?
La nostra testata si rivolge soprattutto al pubblico di giornalisti e di addetti ai lavori – in generale a tutte le persone che si occupano di giornalismo ed editoria. I numeri sono piccoli, ci attestiamo in genere sulle 5mila visualizzazioni settimanali. La platea potrebbe essere molto più ampia se si pensa che i giornalisti in Italia sono circa 100mila (gli attivi circa la metà).
Molte persone passano sul sito occasionalmente, non lo frequentano con assiduità, anche se noi lo aggiorniamo quasi quotidianamente – anche solo con un commento, con un articolo piccolo – e se molte notizie che riportiamo finiscono spesso in prima pagina nelle ricerche di Google.
Oltre al problema del poco traffico, c’è la questione legata ai fondi: vorremmo poter pagare in maniera dignitosa chi scrive gli articoli ma per ora riusciamo a farlo solo sporadicamente. Chiediamo contributi a tutti quelli che capitano sul nostro portale, ma è oggettivamente difficile ottenere fondi in rete, soprattutto quando il sito è fruibile gratis.
Una domanda ideologica, vista la tua lunga esperienza nel settore: il giornalismo è morto?
No, non possiamo dire che il giornalismo sia morto. C’è sempre bisogno di raccontare cosa succede nel mondo e perché è successo quello che è successo. C’è bisogno di qualcuno che spieghi la realtà in modo indipendente, lontano dalle influenze della politica e del potere, che fornisca ai lettori le coordinate utili a comprendere la realtà e gli stimoli, le dinamiche sottese alle vicende che ci circondano.
Noi cerchiamo di dire e sostenere, con il nostro lavoro su Professione Reporter, che il giornalismo non è morto e non deve morire, perché c’è sempre una doppia esigenza di informare e di essere informati – almeno in un Paese democratico come il nostro.
Anche se i mezzi sono cambiati e si sono adeguati alle nuove tecnologie – ormai i giornali cartacei sono un oggetto che si vede solo in mano alle persone anziane, è difficile vedere un giovane che legge un giornale di carta – la missione e il lavoro del giornalista sono sempre gli stessi fin da quando questo mestiere è nato: acquisire e verificare le fonti, scrivere con chiarezza, saper raccontare, avvicinarsi il più possibile alla verità, studiare, unire fonti scritte e orali. L’informazione corretta è questa, non conosco un altro modo di farla.