Solo negli ultimi decenni il mestiere del giornalista si è aperto anche alla presenza delle donne. Fino a un centinaio di anni fa, una donna poteva scrivere romanzetti rosa (al massimo), di certo non poteva occuparsi di cronaca o di politica. Eppure c’è stata una donna, una giornalista, che all’inizio del Novecento ha cambiato per sempre l’approccio delle donne a questa professione ma che, per ovvi motivi, per tutta la sua vita si firmò con uno pseudonimo maschile: Elizabeth Jane Cochran – ovvero Nellie Bly.
Chi era Nellie Bly
Elizabeth era nata nel 1864 in una piccola cittadina della Pennsylvania, da una famiglia piuttosto benestante. Purtroppo però, quando suo padre morì improvvisamente, la famiglia andò in disgrazia ed Elizabeth dovette rinunciare all’istruzione per mancanza di soldi in casa.
La svolta avvenne nel 1885, quando sul giornale locale Pittsburg Dispatch lesse un articolo intitolato “What Girls Are Good For” (“A cosa servono le donne”). Nell’articolo si spiegava che le donne non avevano abilità e non dovevano impegnarsi nello studio o nel lavoro. I loro unici compiti erano fare figli e badare alla casa. Ma non solo: l’autore del pezzo (padre di figlie femmine!) lodava la pratica in voga nella Cina dell’epoca di uccidere le neonate.
La ventenne Elizabeth non poté tenere la bocca cucita di fronte a questa caterva di offese. Pensò, quindi, di rispondere all’autore dell’articolo con un’infervorata lettera anonima in cui affermava il diritto delle donne alla carriera e all’istruzione. Quella di Elizabeth non fu l’unica lettera di protesta che il Pittsburg Dispatch ricevette in risposta al provocatorio articolo, ma fu quella che più di tutte colpì l’editore della testata, George Madden.
Madden rispose con un annuncio per trovare l’anonimo scrittore, chiedendogli di scrivere un pezzo di confutazione più lungo. Per quel secondo pezzo, Elizabeth si firmò con lo pseudonimo di Nellie Bly, che l’avrebbe accompagnata per tutta la vita. Ancora una volta impressionato dal suo stile unico e dalla sua penna pungente, George Madden scelse di assumerla come redattrice a tempo pieno. Insomma, fu costretto a ricredersi e a cambiare radicalmente la sua opinione sull’universo femminile.
Una città avanguardista e un direttore illuminato
Senza un marito e senza figli, Nellie Bly era una donna libera ed emancipata, e non esitava a mettersi in pericolo per raccontare verità poco conosciute nei suoi pezzi. si trattava spesso di verità scomode, come nel caso delle reali condizioni dei messicani sotto il regime di Porfirio Díaz, che le attiravano le ire dei politici e dei suoi capi.
Per questo, dopo poco, lasciò la provincia e si trasferì nella grande New York. Potete immaginare quanto sia stato difficile, per una donna sola di fine Ottocento, trovare lavoro in una redazione di giornale. La fortuna di Nellie Bly fu l’incontro con un giornalista illuminato, che all’epoca dirigeva il “New York World”: Joseph Pulitzer (sì, è quello del premio!).
Fu Pulitzer a lasciarle carta bianca (letteralmente) e a sostenere i suoi lavori sotto copertura per denunciare le corruzioni del Governo, le condizioni di sfruttamento dei lavoratori, la povertà regnante negli angoli più bui delle città. Di certi argomenti – come le condizioni dei lavoratori delle ferrovie a Chicago, che scioperavano contro l’abbassamento del salario e l’aumento degli affitti – ne ha parlato solo lei.
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Il coraggio di una donna che non ebbe paura di nulla
Una delle inchieste per cui Nellie Bly viene ricordata ancora oggi è quella svolta all’interno del manicomio femminile di Roosevelt Island, a New York. Da anni circolavano strane voci sulle condizioni di quel vecchio ospedale riconvertito a manicomio, e Bly volle capirci qualcosa in più.
Per entrare lì dentro, sotto copertura, dovette fingersi pazza. Entrò in una pensione sotto falso nome e iniziò a vagare per i corridoi della struttura, dando segni di squilibrio mentale. Arrestata dalla polizia, fu trasferita prima al Bellevue Hospital e poi, una volta diagnosticati problemi psicologici, fu condotta all’ospedale psichiatrico.
Nel manicomio erano stipate più di 1.600 donne (la struttura poteva contenerne un migliaio) – molte delle quali non erano nemmeno malate di mente. Si trattava, il più delle volte, di immigrate che non conoscevano l’inglese e non erano in grado di comunicare con le autorità locali, oppure donne che avevano subito abusi sessuali, o semplicemente persone povere ed emarginate. In ogni caso, indipendentemente dal fatto che fossero o meno malate di mente prima di entrare, il trattamento subito nell’istituto le devastava.
All’interno del manicomio, Nellie Bly raccolse le drammatiche testimonianze delle donne rinchiuse e oggetto di soprusi e violenze continue. Quando uscì, dopo dieci giorni terribili, scrisse e pubblicò il reportage “Dieci giorni in manicomio” che la consacrò come giornalista e che aprì gli occhi dell’opinione pubblica americana sugli orrori degli istituti di cura. Aveva solo 23 anni.
L’eredità di Nellie Bly
È impossibile menzionare tutte le inchieste, i viaggi, le interviste fatte da Nellie Bly. Voglio ricordare solo che, durante la Prima Guerra Mondiale, fu la prima donna americana a fare da corrispondente di guerra dal fronte europeo.
Malgrado la sua vita non lunghissima (morì a 57 anni a causa di una polmonite), il suo operato ha lasciato un’eredità immensa per il giornalismo investigativo e ha aperto la strada a tutte le donne che, negli anni a seguire, hanno deciso di diventare giornaliste.
Lo spirito avventuroso, l’insaziabile curiosità, l’incessante ricerca della verità, la voglia di raccontare le realtà più scomode e scandalose – in un’epoca in cui il giornalismo era un mondo solo maschile, l’hanno resa un esempio stimato e ammirato ancora oggi. Disse una volta:
Non ho mai scritto una parola che non sia venuta dal mio cuore. Non lo farò mai.